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Sangue di provincia

by Amelie Tritesse

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    Skank Bloc Records - March 8, 2019.

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1.
L’estate delle terza media presi l’abitudine di girare da solo. Facevo delle lunghe camminate che andavano a finire sempre nello stesso posto. Esausto e con la maglietta appiccicata alla schiena per il sudore, mi stendevo sotto una grande palma del parco del minigolf e me ne stavo lì, tentando di schiacciare un pisolino. Under the big black sky. Puntualmente venivo svegliato da qualche cellangulo che frignava. Con gli occhi sbarrati e quella fastidiosa bavetta all’estremità delle labbra, guardavo rapito il piccolo plotone di padri e figli che giocavano felici. Lui arrivò una di quelle mattine. In modo garbato mi domandò se poteva sedersi. Mi abituai quasi subito a non guardarmi più le spalle, visto che pareva proprio morto dietro gli occhiali spessi che penetravano il libro che stava leggendo. Under the big black sky, under the big black sky. The measure of love is to love without measures. The measure of love is to love without measures. The measure of love is to love without measures. Mi disse il suo nome al tavolo del bar del parco. Io sorseggiavo una Fanta ghiacciata, stringendo la busta argentata di Cipster come un trofeo. Ricordo che aveva le gambe accavallate e che mi guardava con un sorriso paterno. A casa sua ci sbrigammo in fretta. Presi i soldi prima di iniziare, e non ci fu bisogno di trattare sul prezzo. Alla fine mi regalò Le Confessioni, il libro che leggeva al parco. Non ci giurerei, ma mi sembrò che stesse per piangere. (Manuel Graziani: voce parlante, basso ‐ Paolo Marini: chitarra, voce cantante, tastiera ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: tastiera)
2.
Guantoni 03:25
Arrivano scaglionati. Giovani mignotte travestite da ragazze per bene, ragazze per bene travestite da vecchie bagasce, infami al minuto, mezze tacche in cardigan e jeans affusolati. È la solita parata, le ragazze giocano d’anca, i ragazzi camminano impettiti. Sorrisi chimici e gambe accavallate. Un avventore particolarmente su di giri mi offre un cicchetto di rum e pera. Rifiuto l’offerta per darmi un tono, una parvenza di professionalità. A mezzanotte e un quarto nessuno manca all’appello. Jimmy abbassa la serranda e inizia a raccogliere le scommesse. Io mi alzo dalla sedia esasperando il gesto plastico, mi sgranchisco le gambe con una lentezza equivoca. Faccio il possibile per sembrare un vero duro ma a causa di un accentuato varismo delle ginocchia, assomiglio più ad un difensore di terza categoria schierato in campo per spaccare le gambe all’attaccante avversario. Nel retro del bar i due nani stanno facendo gli esercizi di riscaldamento. Il più massiccio ha un occhio nero e un cerotto bianco al centro del testone che si ritrova. Così conciato, pare un cazzo di panda acciaccato da un tir. Gli chiedo se è tutto ok. Mi fa cenno di sì, dondolando quel suo testone enorme. Prima di uscire i due blaterano una specie di preghiera. Non riesco a trattenermi, è più forte di me, due nani che si fanno il segno della croce con i guantoni fanno schiattare dal ridere. You think I’m ready, think I’m ready for the fight ah ah ah ah ah ah ah. You think I’m ready, think I’m ready to compete ah ah ah ah ah ah ah. You think I’m ready, think I’m ready, think I’m ready ah ah ah ah ah ah. You think too much. (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: basso, voce cantante, droni ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: tastiera)
3.
La città, questa è la città, sicché questa è la città. La promessa è che sarei tornato, prima o poi ma sarei tornato. Non mi ci vedevo nei panni dell’uomo efficiente e metropolitano, a sorridere tutto il giorno per poi svenire sul divano. E non c’entrano le radici, i giorni felici e i soliti vecchi amici. Questa la città delle calate per il corso, del vino rosso, dell’eroina all’ingrosso. Del vorrei, ma lasciami perdere, che proprio non posso. A piedi dalla Gammarana fin sotto i portici di Fumo, in mezzo al nugolo di ex partigiani e vecchi democristiani che aspirano il profumo degli altri. Questa è la città della domenica con le pastarelle, delle virtù e delle mazzarelle. Questa è la città del mo’ ci ving, mo’ c’arving, mo’ te li ding ‘mbacce a’ li dint. Che pure i cinesi, c’è da capirli, si trovano spiazzati. Step by step at night, I walk through the Tigli, I trusted that guy who told me Sajummond. Una città a misura di tutto e di niente. Assessori in bicicletta che strizzano l’occhio alle mamme pretuziane. Donne esuberanti meglio oggi che a vent’anni, con tute griffate, occhiali da sole, labbra dolci e salate. Questa è la città delle mie ginocchia sbucciate. Questa è la città, sì, questa è la città, questa è la città, la mia città. Questa è la città, sì, questa è la città, questa è la città, la mia città. (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: chitarra, voce cantante ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: basso)
4.
Siamo tutti più o meno nullafacenti e senza affetti, né verso gli altri né verso noi stessi. Camminiamo con il passo lesto di chi va a risolvere dal pusher di fiducia, appena tornato dall’Olanda. Come entriamo nel pub occupiamo gran parte degli sgabelli, parte il primo e ci mettiamo all’unisono a ticchettare con le dita sul bancone. A quell’ora il pub è vuoto. Pino riempie cinque bicchieri di Amaro Gran Sasso, aspetta un po’ prima di metterci il ghiaccio. La tensione taglia a metà il bancone, non fa alcuna differenza trovarsi dall’una o dall’altra parte… dall’una o dall’altra parte. Pino sa bene cosa vogliamo, prima sbuffa e poi cede: “Ok, ma fatemi tirare giù la serranda”. Dopo la serranda vanno giù anche i suoi pantaloni, a seguire degli orribili boxer a pois che hanno visto tempi migliori. In quel preciso istante tra noi cala un gelo siberiano. Tra le gambe Pino ci ha una palla abnorme e infuocata, in pratica ha un solo coglione: uno stratosferico coglione! Delle dimensioni e del colore di un melograno maturo. La scena è così raccapricciante che nessuno apre bocca. Il nostro silenzio tradisce due cose: incredulità e una punta di orrore. Che poi abbiamo smesso con le droghe da un pezzo e Pino non è tornato dall’Olanda. Dice che un leggero dolore l’ha avvertito già il primo giorno, che il terzo giorno ha sentito una fitta lancinante, che ha preso a sudare come un boiler e poi il buio. “È stata una torsione del funicolo spermatico testicolare, ha seriamente rischiato l’atrofizzazione del testicolo!”, così gli hanno detto in un inglese da comiche. Pino butta giù il suo amaro. Non si capisce se è più affranto o più preoccupato, poi ha un moto inarrestabile come una scorreggia malata: “Quella stronza della madre mi ha assicurato che non era vergine! Vi sfido a trovare una tredicenne ancora vergine, vi sfido a trovare una tredicenne ancora vergine… in Thailandia”. (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: chitarra, tastiera ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: basso)
5.
Masticare le piccole cose quotidiane, le minutaglie della vita, i tic, gli sfilacciamenti emotivi. In quel brulicante realismo fatto di iniziazioni e penombre, gelosie. Silenzi, banalità, vite di vecchi esemplari umani. Tra la noia, le chiacchiere in macchina, l’autoradio sparata, la nostalgia, la rassegnazione, la rabbia, le migliori giocate dei mondiali. Continuando ad amare quegli eroi giovanili, che non si è mai cagato nessuno. Senza pretese radical, senza scavallamenti o scossoni, lontano da velleità di ribellione generazionale. Niente di intellettualmente troppo alto, niente di troppo cerebrale. Nessuno sbatte i suoi occhioni languidi. Solo sangue di provincia pompato da un cuore di provincia, gravido di ricordi ma non di speranze. Minuzie, sguardi, gesti quotidiani. Storie che restano lì, appese come un loop infinito in un’atmosfera di disagio sospeso. Storie velate di amarezza, sconclusionate ma intense come un’epifania, che sanno di luppolo e marijuana. Immagini minime e orgoglio del libero pensiero, fra gli svincoli di piccole memorie che ci fanno l’occhiolino per poi schiaffeggiare gli occhi di chi le guarda. Beautiful freaks at the door, beautiful freaks at the door, Jeffrey Lee Pierce reading in the garage with a gun. Storie di una generazione che si avvia ad abbracciare gli anta, ma che ancora gioca a vivere negli intramontabili enti. Che prova a brillare di luce propria, come forma di incontrollabile pudore e disincanto. C’è qualcosa di imperfetto dal sapore agro e fumoso, che azzera la voglia di conversare. La feroce familiarità di un’umanità periferica che non se l’è mai sentita di indossare una camicia, che non giudica ma osserva cinicamente, immersa nel liquido amniotico sublime, in cui solo nella provincia è possibile sguazzare. E poco male se le aboliranno le Province. Ne rimarranno il mantello opaco e vischioso, la nervosa elettricità sottopelle, le etichette fallaci. Piccole dosi di efferato e lucido cinismo, l’artigianato e certa capacità di osservazione. (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: chitarra, voce cantante, fiati e archi ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: basso)
6.
Seymandi 02:53
Supertelegattone. Tu che sei simpatico come Maurizio Seymandi, tu che non vai mai ma mandi, tu che hai una passione smodata per Gianni Morandi, tu che ignori l’omicidio di Stato di Federico Aldrovandi. Tu che appena ti si dice una parola ti offendi, conservi i sette pollici in una borsa Fendi e c’hai avuto la brillante idea di chiamare il tuo cane Psychocandy. Tu che scrivi recensioni creative di gruppi indy, indossi spesso una maglietta con le facce di Mork & Mindy, e detesti le canzoni di quel buon diavolo di Umberto Bindi. Tu che all’improvviso inizi a blaterare di nuovi mondi, tu che collezioni inutili mappamondi, tu‐proprio‐tu, che ometti di dire che sei nato a Fondi. Tu che fai lo snob del cazzo e invece di amaranto dici burgundy, tu che ce l’hai tanto con gli oriundi, tu… che ti pettini come Bill Grundy! (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: chitarra, noise ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: basso)
7.
Son of Italy 03:13
Noi gente delle alture abruzzesi crediamo nei sogni, le nostre strade sono popolate da esseri strani la cui esistenza vacilla tra realtà e fantasia. Ci sono uomini in grado di predire il futuro, vecchie indovine senza tempo che custodiscono i segreti della montagna e sanno curare qualunque male mormorando versi. Questa fiumana di derelitti è composta da storpi, zoppi che arrancano a fatica, esseri devastati dalla malattia che hanno presa sulla gente di campagna che vive nella miseria più nera. E proprio la miseria più nera, ci portò in America. Son of Italy, Son of Italy. Uno sopra l’altro si alternano strati di gradoni zeppi di stamberghe. Sembrano celle di un grande alveare popolato di gente che si azzuffa, fuma e canta. Noi compaesani restavamo sempre uniti, l’idea di separarci e lavorare da soli ci terrorizzava tutti. Così eravamo pronti a sopportare le peggiori avversità, prima di prendere anche solo in considerazione un’eventuale separazione. Son of Italy, Son of Italy. Son of Italy, Son of Italy. Partimmo per il West Virginia con un’unica valigia in cui tenevamo gli oggetti in comune: alcuni tegami, quattro piatti di latta ingialliti, cucchiai e forchette in caso ci fosse venuto l’estro di cucinare dei maccheroni. Il resto dell’armamentario si componeva di un ago, un po’ di filo, brandelli di una camicia di lino e svariati bottoni staccati da maglie e mutande. Camminando lungo le strade caotiche di New York, molti cittadini dalla faccia smunta ci lanciavano occhiatacce, disgustati dalla nostra corpulenza rivestita di stracci. Una donna veniva nella direzione opposta, aveva una faccia così orrenda che nessuna maschera di trucco sarebbe stata in grado di nascondere: capelli giallo limone, un doppio mento anomalo, occhi grigi e labbra rosso rubino, era avvolta di piume, pellicce e quant’altro provenisse dal cadavere di un animale. Quella donna, era la dimostrazione di quanto l’umana vanità potesse essere volgare. (Manuel Graziani: voce parlante, basso ‐ Paolo Marini: chitarra, tastiera, voce cantante ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: tastiera)
8.
Paolino posa mattoni con la furia di chi sfugge a un pericolo, di chi annaspa per trovare aria, di chi lotta e deve vincere. Quando finalmente Michelaccio dà il colpo di fischietto, Paolino si raddrizza, il mondo ondeggia, ronza nei suoi orecchi, mulina girandole di punti luminosi davanti ai suoi occhi. Paolino si appoggia al muro, chiude le palpebre e pensa solo a non perdere l’equilibrio. It’s the promised land we’re all dreaming. It’s the promised land we’re all dreaming. It’s the promised land we’re all dreaming. Wake you up! Arriva per primo, studia la facciata, osserva i palchi, passa la mano sui mattoni e sulle pietre del muro. Il Job è severo, nel suo odore fresco e pungente di calce, legna spaccata, vernice e rugiada. Nel mattino rigido il sole si alza in una gloria di toni fulvi che promettono una calda giornata di lavoro. Prima di tornare sui palchi Nasone gli fascia le mani. Pisciaci sopra… pisciati sulle mani poi te le fascio, vedrai che i mattoni non ti faranno più male. E la miglior cosa Paoli’, è disinfettante… è disinfettante! It’s the promised land we dreamt all night. It’s the promised land we dreamt all night. It could be better than, than what they say. It could be better than, than what they say. Il grattacielo si erge come un gigante a cavalcioni di un intero isolato. Il suo scheletro di metallo lancia cinquanta piani verso il cielo. Il petto di Paolino è gonfio di orgoglio. In cima allo scheletro del Job lavora la squadra dei ciclopi. Un palco traballante sostiene la piccola fucina dove i fabbri preparano le chiavarde per poi scagliarle come bolidi agli operai della squadra accanto. Mentre posa mattoni lungo il muro, Paolino stenta a credere che cavi così sottili possano sostenere una squadra di uomini, pile di mattoni e mastelli di calce. Ma tutto si dimentica, nella febbre del lavoro. (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: chitarra, voce cantante, tastiera ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: basso)
9.
Non so se chiedere un vassoio o una guantiera, così mi esce la parola guassoio. Dalla bocca del pasticciere esce invece una risata più flaccida del suo addome. Pendolo e il Monsignore iniziano subito a litigarsi il diplomatico. Alla fine la spunta Pendolo che balbetta pure un grazie, prima di stendermi una pagina di giornale tutta stropicciata. La scritta sovrasta una vecchia foto di quando ero in perfetta forma: “Il cantante Joe Ventuno, riassapora il successo”. Only tonight, The Joe Ventuno’s band, plays for all of you doo wap da doo wap da doo. What a wonderful voice, what a heart, what a soul. Oltre ad essere un patetico gioco di parole, è pure una cazzata bella e buona. Con i soldi incassati per la canzone, ci copro gli arretrati e a malapena un altro mese di pensione. Il Monsignore ha un cornetto infilato in bocca, da cui esplode crema come pus. Pendolo, si lecca le dita famelico. Finiamo in silenzio le nove paste. Con la pancia ancora piena, inizio a pensare che dovrei proprio assaggiare quei pasticcini secchi che utilizzano la mia canzone per la pubblicità. Dall’aspetto non sembrano affatto male. I don’t wanna sing tonight, I really don’t feel like singing. I don’t wanna sing tonight, I don’t wanna sing tonight, I don’t wanna sing tonight. And You please don’t ask me why: I don’t wanna sing tonight, I don’t wanna sing tonight, I really don’t feel like singing. I don’t wanna sing tonight, I don’t wanna sing tonight, no I don’t want, I don’t want, I don’t want and You don’t ask me why. You don’t ask me why. (Manuel Graziani: voce parlante ‐ Paolo Marini: chitarra, voce cantante ‐ Stefano Di Gregorio: batteria ‐ Cristiano Pizzuti: basso ‐ Sergio Pomante: sax)
10.
Wojtek 07:41
Honeymoon is waiting for you. I’ll never see you so happy again. You’re so gorgeous, so gorgeous, you’re so gorgeous today. Gli invitati roteano su se stessi con in bocca pezzi di maiale ancora fumante, pare di essere a Rio de Janeiro. Saranno le calorie della porchetta, il Montepulciano scorso a fiumi, lo spacco esagerato della sposa. O la musica a volumi insopportabili. Il padre della sposa non deve essere un grande estimatore del post‐punk. Con un gancio da antologia, mette ko un tizio che si dimena al centro della sala come Wojtek Dmochowski. Mi avvicino per vedere se respira ancora e noto che la somiglianza è davvero impressionante. Il tizio lungo a terra esanime ha sì e no trent’anni, mentre il vecchio Wojtek ci dà dentro ancora come un indemoniato. La differenza, la differenza, la differenza… sta tutta lì. Handsome Billy Joe, dancing as a bear. He lived in Poland for years, he likes the Rolling Stones. And Sister Mary, they share the same father. She collects blue airplanes, She’s a bad dancer too. And Calvin Brogdon, sleeping on a chair, sadness on his face he’s been married long long time ago. He came from Bristol in 1972, now he owns a restaurant where I often go. So hurry up, have a drink and join the party. Don’t hesitate to kiss the bride and dance as you never did. Smile to everyone and laugh if you feel like. I want you to be one of us especially today. Clap your hands and sing even if you don’t know why, tomorrow you’ll forget, tomorrow you’ll regret. Tomorrow you’ll see, let it be, your day will come don’t let me down I want to propose a toast, to my dearest one c’mon! Up your glasses! with all our love to my dearest one. (Manuel Graziani: voce parlante, batteria ‐ Paolo Marini: voce cantante, chitarra, tastiera, fiati e archi ‐ Stefano Di Gregorio: basso ‐ Cristiano Pizzuti: tastiera)

about

"Tra fenomeni da bar(accone), storie locali d’emigrazione e le fisse per i gruppi rock con un ballerino in line-up, mi sovviene quel detto che, parafrasando, recita: la provincia è quel luogo da cui non vedi l’ora di scappare via ma anche quel posto in cui non puoi fare a meno di ritornare." (Fabio Polvani, BLOW UP)
"... storie di combattimenti illegali fra nani, turismo sessuale andato a male, città-paese; un ritratto del tipico indiesnobgiornalistatuttologo; un acquerello della provincia che ci possiede anche se scappiamo; storie di emigrazione di tanto tempo fa, che non cambiano mai..." (Andrea Valentini, RUMORE)
"Il riferimento principale è quello della scuola Massimo Volume / CSI / Offlaga Disco Pax ma con un’anima personale e distintiva. Ottimo." (Antonio Bacciocchi, RADIOCOOP)
"Un disco non di facilissima e immediata fruibilità ma ricco di particolari affascinanti e inaspettati che molte volte appaiono dopo una serie di ascolti." (Il Santo, IN YOUR EYES)
"Le storie di Amelie sono forti, ganze come si direbbe a Firenze, fra calcio come in 'Guantoni' passando per 'Uno Stratosferico Coglione', fantastica! Immagini e storie minimali e minime, 'Seymandi', 'Cristo fra i Muratori', 'Wojtek' e così via… il disco scivola bene, autoironico, semplice e diretto, intellettuale ma accessibile a tutti. Convincenti!"(Stefano Ballini, SB COMUNICAZIONE)
"Il problema di 'Sangue di provincia' è che non si tratta di un disco facile. Non aspira ad esserlo e riesce perfettamente nello scopo. Ha bisogno di essere ascoltato e di essere capito..." (Emma Bailetti, ROCKIT)

credits

released September 15, 2018

A Morte Dischi

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Amelie Tritesse Teramo, Italy

Amelie Tritesse is an Italian project made ​​up of words and sounds, voices and instruments, stories and songs: a sort of read'n'rocking mix, soaked of alt rock, garage, post punk and indie folk. And everything happens while spoken lyrics met songs, and Italy met England. ... more

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